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INTRODUZIONE

AVVENTO: TEMPO DI ATTESA

Il termine latino adventus (da advenio = venire presso) si collega al termine greco parousia,

che significa “presenza” o meglio ancora “arrivo”, cioè “presenza iniziata”. E’ noto come questo

concetto risalga alle consuetudini antiche. Esso veniva usato normalmente per parlare della

presenza/arrivo di un re o di un sovrano per compiere un ‘azione positiva, o in riferimento a Dio

che realizza il tempo della parousia. Avvento significa quindi presenza iniziata, presenza di

Dio stesso che viene a salvare l’umanità. L’avvento ci ricorda che l’azione salvifica di Dio nel

mondo è “già” incominciata, ma che rimane “ancora” aperta e dinamica fino al suo

compimento. Per questo l’Avvento si definisce come un “tempo di attesa”. Pertanto vivere

l’Avvento significa imparare la sapienza dell’attesa di Dio che salva. Non c’è modo migliore

per dare significato narrativo all’Avvento che presentare i personaggi biblici che vivono

l’attesa di Dio.

 

Isaia: il profeta dell’attesa

Un primo testimone del tempo dell’attesa è senza’altro il profeta Isaia. Vissuto nella

metà dell’VIII secolo, personaggio autorevole del regno di Giuda, Isaia vive l’incontro di il

mistero di JHWH nel contesto del tempio di Gerusalemme (cf. Is 6). La maestà di Dio

illumina e riempie il tempio, rivelando al profeta la necessità di saper attendere la salvezza

attraverso la fede. Il racconto di vocazione è suggestivo, come l’emozione che il profeta vive

nell’esperienza estatica. Il Dio che viene ha a cuore la salvezza del popolo e il profeta è

chiamato a rendersi “strumento” di questa salvezza. Il piccolo regno di Giuda sta per essere

minacciato dalla logica politica e militare dei regni vicini: Israele ha solo la fede e la capacità

di affidarsi al Dio che salva e libera. Questo Isaia deve annunciare e testimoniare, anzitutto

agli uomini di governo che regnavano in quel tempo e in seguito, a tutto il popolo. Attendere

la salvezza senza confidare nelle proprie forze o nei compromessi politici: Isaia proclama un

Dio “senza compromesso”, un Dio che chiede solo “la fede”. Nel “libro dell’Emmanuele” (cf.

la sezione di Is 6-12) vengon raccolti diversi oracoli del profeta che annunciano la nascita

dell’Emmanuele (Is 7,14), descrivendo le alterne vicende politiche del tempo. Saper attendere

il Dio della storia, accettando le prove, con la certezza che “il bambino che nascerà” porterà la

salvezza e ristabilirà la condizione messianica di pace, tanto attesa dall’umanità (cf. Is 11,1-9).

 

Giovanni Battista: il testimone dell’attesa

Un secondo protagonista di questo tempo è Giovanni Battista, la cui nascita

straordinaria preannuncia la singolarità della sua missione: «Tutti coloro che le udivano, le

custodivano in cuor loro, dicendo: “Che sarà mai questo bambino?”. E davvero la mano del Signore

era con lui» (Lc 1,66). La mano del Signore fu sopra Giovanni, che diviene “testimone”

dell’attesa e della venuta del Signore. La presentazione evangelica riservata al Battista è

notevole e dimostra il peso teologico e narrativo di questo personaggio. Espressione della

lunga sofferenza dei poveri di Jhwh, che da tempo invocano Dio perché si compia il suo

regno, Giovanni predica con tutta libertà nel deserto, prepara il popolo con il segno del

battesimo di penitenza e propone un cammino di purificazione in vista dell’incontro con la

potenza di Dio. Tuttavia non è solo la sua parola toccante a convincere la gente, ma

soprattutto la sua testimonianza radicale, fondata sull’autenticità di una vita spesa per il

Signore e la sua giustizia (cf. Mt 3,15). Secondo la predicazione di Giovanni, attendere

significa “prepararsi ad un incontro” con un cuore rinnovato e con uno spirito pronto e

vigilante. In questo orizzonte si coglie il modello di una predicazione escatologica, conevidenti tratti giudiziali che seguono i moduli tematici e letterari del profeta escatologico (cf.

Is 40,2-3): «Alle folle che andavano a farsi battezzare da lui, Giovanni diceva: «Razza di vipere,

chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque frutti degni della

conversione e non cominciate a dire fra voi: “Abbiamo Abramo per padre!”; perché io vi dico che

da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Anzi, già la scure è posta alla radice degli

alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco». (Lc 3,7-9).

Giovanni (= dono di Dio) è il testimone che ci insegna ad aspettare la salvezza, preparando il nostro cuore. Tra la folla di uomini e di donne che si mettono in fila per ascoltare la parola di Giovanni ed immergersi nelle acque del Giordano c’è anche Gesù, venuto da Nazareth. L’incontro tra i due protagonisti è rivelativo: Giovanni riconosce e crede che Gesù è il Figlio di Dio, l’agnello immolato che toglie il peccato del mondo (cf. Gv 1,29). Il profeta del deserto si curva davanti al Figlio dell’Altissimo, la voce riconosce la Parola e la lampada è illuminata finalmente dalla Luce che

viene nel mondo. La testimonianza del Battista resta un momento centrale dell’avvento: nella sua

vita c’è un’attesa di si realizza. E’ Gesù che sceglie di passare per le acque del Giordano, dove il

cielo si apre e lo Spirito scende sulla missione del Figlio, presentato dalla voce del Padre: «Tu sei il

Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (Lc 3,22).

 

Giuseppe: lo sposo che attende

Una terza figura è rappresentata da Giuseppe di Nazareth, lo sposo della Vergine Maria. I

racconti evangelici riportano la figura di Giuseppe nel contesto della nascita di Gesù e

successivamente negli episodi della presentazione al tempio, nella fuga in Egitto e del ritorno a

Nazareth. Giuseppe è ancora presente nella scena dello smarrimento e del ritrovamento del bambino dodicenne al tempio di Gerusalemme (cf. i capitoli di Mt 1-2; Lc 1-2). La sua presenza si collega con la “vita nascosta” della santa famiglia a Nazareth (Lc 4,22). Anche se i testi canonici

presentano Giuseppe in una posizione discreta, la riflessione biblico-teologica accredita a questa

figura una rilevanza notevole. Egli è anzitutto “uomo giusto” (Mt 1,19). Il primo evangelista sceglie

questa definizione per collegare il ruolo tipico di Giuseppe alla tradizione antica di coloro che

attendevano la venuta del Messia: i giusti di Israele. In Giuseppe possiamo cogliere tutta la storia di

un popolo che soffre e che attente pazientemente la salvezza. Egli vive il tormento di una scelta (Mt

1,20), che ha le sue origini nel mistero di Dio. Le parole dell’angelo rivolte a Giuseppe sono

eloquenti: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il

bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai

Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,20-21). Per Giuseppe saper attendere

significa saper lottare nella fede. L’avvento di Giuseppe diventa esperienza di abbandono fiducioso

nella provvidenza, senza cedere alla tentazione di un “fare privato”. Allo stesso tempo Giuseppe è

“lo sposo di Maria”. In questa seconda definizione dobbiamo cogliere anche la dimensione affettiva

e familiare dell’attesa: attendere la salvezza significa scegliere la via dell’amore e della comunione.

Il bene di una famiglia, della Santa Famiglia, supera e comprende anche il bene personale. Nel

cuore dello “sposo che attente”, la cui parafrasi è ampiamente testimonianza nelle Scritture di

Israele (Dio – sposo; Cantico dei Cantici; ecc.), interpretiamo il valore prezioso di questo tempo di

Avvento e di offerta della nostra vita per un “progetto più grande”.

 

L’attesa dei poveri: dai pastori ai Magi

Nei racconti natalizi spiccano particolarmente due categorie di persone che condividono

l’attesa e contemplano l’Atteso: i pastori che vegliano il gregge (Lc 2,8-20) e i Magi che

raggiungono finalmente Betlemme (Mt 2,1-12). L’apparizione lucana degli angeli ai pastori assume

una forte connotazione simbolica, aperta a più interpretazioni. Si tratta di una rivelazione gioiosa

che rompe la tristezza della notte e che illumina coloro che sono “lontani”. La figura dei pastori è

simbolica in rapporto alla nascita di Gesù, colui che si presenterà come il «buon pastore» di Israele

(Gv 10). Lo stupore dell’avventimento non blocca questi guardiani notturni, ma suscita nel lorocuore il desiderio di vedere il bambino, di andare a cercarlo. L’avvento è tempo di ricerca, ma la

ricerca accade solo quando il cuore si fa piccolo e capace di aprirsi di fronte al mistero.

L’evangelista Luca sottolinea la decisione unanime di questi uomini che rispondono all’appello

della rivelazione angelica: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il

Signore ci ha fatto conoscere» (Lc 2,15). Essi si mettono in cammino e questa esperienza diventa

per loro un “esodo” verso Dio (Lc 2,16), che viene narrato e proclamato a tutti con grande stupore

(Lc 2,17-18). La sfera del trascendente (annuncio degli angeli) si comunica alla sfera del mondo

terreno (i pastori), che a loro volta si trasformano in evangelizzatori del mistero della salvezza.

In un simile cammino di ricerca si pongono gli uomini stranieri, rappresentati dal Magi. Da

parte sua l’evangelista Matteo riferisce questa tradizione che rileva la dimensione universale della

manifestazione divina. Venuti da lontano, dopo aver visitato Gerusalemme, i magi seguono la luce

della stella e camminano nella fiducia di un’attesa e di un incontro. Anche in questi personaggi non

appartenenti al popolo eletto, siamo chiamati a cogliere i tratti dell’Avvento, che è tempo di ricerca.

La sottolineatura matteana della totale differenza tra la corte “oscura” di Erode e la strada

“illuminata” dei Magi, pone in evidenza la centralità del cuore capace di cercare. Il loro cammino

approda alla fine alla sospirata meta. L’evangelista scrive: «Al vedere la stella, provarono una gioia

grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo

adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra» (Mt 2,10-11).

 

Maria: la madre dell’attesa

Tutti i racconti evangelici culminano con la figura di Maria, la madre del Signore, la

“donna dell’Avvento”. Dal “si” dell’annunciazione (Lc 1,28), Maria è proposta come colei

che vive in prima persona l’avvento di Dio nel tempo, nella storia e nel proprio cuore. Per

questa ragione siamo chiamati a guardare al tempo dell’attesa “con gli occhi della Vergine”. I

verbi che contraddistinguono le azioni di Maria sono diversi e tutti significativi: Maria «si

mette in cammino» verso la casa di Zaccaria e «si mette a servizio» di Elisabetta (Lc 1,39-56).

Maria è nella scena del Natale come la madre che «contempla» e «custodice nel cuore» gli

avvenimenti realizzati da Dio. La Vergine è colei che «offre», insieme a Giuseppe, il bambino

al tempio di Gerusalemme (Lc 2,22) e colui che lo cercherà ansiosamente nella Città Santa

(Lc 41-50). La madre dell’attesa di Colui che salverà Israele è sicuramente la figura più vicina

alle nostre aspettative dell’Avvento. Essa diventa il modello di ogni credente e con la sua

semplicità ci permette di entrare nel mistero di Dio che si fa carne e di partecipare alla sua

gioia. La madre ci ricorda l’importanza della vita: per questo l’Avvento diventa un annuncio

di vita piena. La madre ci fa guardare alle famiglie: per questo l’Avvento ci aiuta a recuperare

la dimensione familiare delle nostre relazioni interpersonali. La madre è colei che

accompagna il cammino della santa famiglia, custodendo nel cuore il mistero dell’amore

donato.